lunedì 8 febbraio 2016

Let's talk about... One Punch Man

Let's talk about... One Punch Man

Periodo di messa in onda: 4 Ottobre – 20 Dicembre 2015
Numero di episodi: 12; 25 minuti cadauno
Studio di produzione: Madhouse
Trasmessa online in Italia da VVVID; sottotitolata prima e doppiata dal Gennaio 2016.

Prefazione. One Punch Man potrebbe essere definito come la storia dell'uomo medio, Saitama, che assurge al titolo di supereroe. Etichetta indubbiamente un po' strana, ma in pieno spirito con l'opera. Oggi parlerò dell'anime uscito nel 2015 e non del manga (ad opera di Yusuke Murata, n.d.r.) poiché esso è in corso dal 2012, e quindi ogni giudizio o commento partirebbe da un prodotto che ha ancora molto da dire. Quello che viene rappresentato nell'anime è un particolare arco narrativo che ci mostra da cosa è nato il potere del protagonista, alcuni personaggi ed avversari secondari e alcuni dei motivi principali che ci porteremo per mano attraverso il futuro percorso che si presenta davanti a One Punch Man. Senza perdere ulteriore tempo, vediamo quindi i tre principali motivi per i quali, a mio modesto modo di vedere, l'anime di One Punch Man costituisce una piccola gemma nel panorama degli shonen moderni.



1 – Senza alcun dubbio One Punch Man nasce col duplice intento di parodizzare sia il mondo degli shonen giapponesi più famosi - quali Naruto, One Piece, Bleach, Fairy Tail e via discorrendo - che anche e forse soprattutto i Comics americani che trattano di supereroi. Il “problema”, se così possiamo chiamarlo, è che l'autore dell'opera, e successivamente Madhouse, sono riusciti nell'impresa di trasformare One Punch Man da semplice parodia di un determinato genere a caposaldo dello stesso, grazie ad un'animazione fresca, colorata, dinamica e sopra le righe, così come sopra le righe sono i personaggi che popolano il mondo immaginario creato da Murata. Questi elementi, uniti ad una colonna sonora da urlo (sia nei momenti più concitati che in quelli più “tristi”) e a combattimenti veloci, esagerati ed incredibilmente belli da vedere, fanno quindi sì che One Punch Man si configuri come un vero e proprio shonen a sé stante, da considerare come facente parte del novero dei “grandissimi”.


2 – L'ironia. Come non citarla, parlando di tale opera. L'ironia è infatti l'elemento che maggiormente contraddistingue One Punch Man, e ciò lo si può ritrovare specialmente in due diverse situazioni: durante i combattimenti e nella caratterizzazione dei personaggi. Nel primo caso abbiamo battaglie sopra le righe, nemici fortissimi che ricorrono a numerosi power – up anche nel giro di 2 o 3 minuti e abilità assolutamente idiote e fuori dal comune. Nel secondo caso Murata si è semplicemente sbizzarrito, a cominciare dal protagonista, Saitama, l'uomo medio che, stanco della propria vita e a seguito dell'incontro con un mostro, decide di allenarsi a più non posso, sviluppando una forza ed una velocità che non stento a definire ultraterrene - E perdendo i capelli. Il legame? Non c'è, e a noi va benissimo così - , per poi continuare con il Cyborg Genos, la cui storia ricorda da vicino la saga degli Androidi di Dragon Ball, o ancora il velocissimo ninja Sonic, dai tratti caratteriali simili a quelli di Sasuke... Insomma, chi più ne ha, più ne metta.

3 – Come già accennato nel primo punto di questo articolo, il bagaglio di citazioni e riferimenti ad altre opere che One Punch Man si porta dietro è davvero molto vasto, ed è proprio questo ad essere un altro punto di vanto dell'anime/manga, in quanto qualsiasi appassionato di fumetti, siano essi comics americani o manga giapponesi, non potrà non 
ritrovare all'interno di ogni singola puntata qualche “chicca” speciale che solo lui potrà cogliere. Per farvi solo qualche esempio, Saitama possiede un piccolo scaffale sul quale colleziona alcuni dei manga più famosi dei giorni nostri e dei quali, sicuramente, Murata ha tenuto di conto nell'intento parodizzante della sua opera. O ancora, i tratti stilistici di alcuni nemici e alleati di Saitama ricordano molto da vicino quelli di personaggi comparsi precedentemente su altri albi. Poi ci sono i poteri dei supereroi secondari, originali ma con netti richiami ai Fantastici 4, o a Superman e via dicendo, e ancora caratteristiche caratteriali volutamente stereotipate... Insomma, One Punch Man è un raffinato pasticcio di citazioni, parodie & sfottò ad opere che hanno fatto la storia dei fumetti che non manca mai di portare il giusto omaggio ad esse, riuscendo anche a strappare più di un sorriso allo spettatore. Consigliatissimo.

Nicola Bertilotti


martedì 26 gennaio 2016

The Order: 1886 - Recensione

The Order: 1886 – Recensione

Data di uscita: 20 Febbraio 2015
Sviluppatore: Ready at Dawn
Piattaforme: Ps4



Prefazione. Londra, 1886. Sir Galahad, il Marchese Lafayette, Sir Lucan, Lady Igraine, Sir Percival e altri valorosi difendono le strade della città dai Lycan, misteriosa e antica stirpe che non si fa problemi nell'uccidere esseri umani. Questi uomini fanno parte dell'Ordine dei Cavalieri, fondato ai tempi da Re Artù e ora alle dipendenze della Regina d'Inghilterra. Compito dei Cavalieri è quello di salvaguardare la città dalla minaccia degli esseri metà bestie e metà umani, ma ora più che mai l'Ordine è minato da dissidi interni che rischiano di distruggerne le fondamenta.
Queste le interessanti premesse di The Order: 1886, titolo esclusiva Ps4 che rappresenta il debutto di una nuova IP sulla console Sony: andiamo immediatamente ad esaminarne le caratteristiche.


Ma questo aggeggio spara? Il gameplay di The Order: 1886 non è l'aspetto principale del titolo, e questo va detto subito e a scanso di equivoci. Vediamo nel dettaglio perché. Il gioco appartiene formalmente alla categoria degli sparatutto in terza persona, ma i conflitti a fuoco non sono poi moltissimi e non offrono quasi mai situazioni innovative o particolarmente coinvolgenti. Il ventaglio di armi a nostra disposizione (trasportabili due per volta) andrà da quelle più classiche (revolver, carabine, fucili), tutte in pieno stile “Vittoriano”, e altre più originali, solitamente appartenenti esclusivamente all'arsenale dei Cavalieri, preparato appositamente per noi da Nikola Tesla. Tra di esse figura, ad esempio, uno speciale fucile chiamato “Termite” che, nella modalità di fuoco
Il fucile Termite in azione.
primario, spara raffiche di 30 proiettili che rimangono sospesi in aria nel luogo in cui gli avremo sparati, mentre col fuoco secondario potremo detonarli a distanza e provocare così un'intensa fiammata, di modo da coinvolgere più nemici contemporaneamente. Il gioco utilizza un sistema di coperture mutuato da quello (oramai diffusissimo) dei vari Gears of War, che per l'occasione funziona piuttosto decentemente, anche se non di rado capita di poter sfruttare troppo a proprio vantaggio un riparo, finendo col far diventare un determinato scontro a fuoco un semplice “sporgiti → spara → nasconditi” fino a che non avremo ucciso tutti i nemici. L'intelligenza artificiale di quest'ultimi, tra l'altro, non brilla particolarmente (né, va detto, è deficitaria): raramente essi verranno a “stanarci” dai nostri ripari, se non quelli protetti da una spessa corazza o dotati di armi il cui utilizzo implica una distanza ravvicinata, lasciandoci quindi molto tempo per riflettere e agire. La loro mira, d'altro canto, sarà encomiabile: essi non ci mancheranno praticamente mai, nemmeno utilizzando un lanciagranate, e sarà in queste relativamente poche situazioni che saremo costretti a cambiare rapidamente copertura per sfuggire al fuoco nemico. Dopo aver messo a segno vari colpi andremo a riempire una barra bianca posta sotto l'indicatore dell'arma in uso che, una volta attivata (tramite la pressione del tasto L1/L2), attiverà una breve sequenza nella quale il tempo apparirà rallentato e potremo fare solamente due cose: sparare ad un nemico con il tasto R1/R2, e cambiare bersaglio tramite la levetta destra. In questo caso non avremmo bisogno di mirare, poiché la modalità attivata è una sorta di brevissimo “statua Berserk” - simile a quanto visto in Splinter Cell: Conviction - che ci faciliterà non poco le uccisioni. La vita di Galahad si rigenererà automaticamente dopo qualche tempo senza subire danni e, superata una certa soglia, egli cadrà a terra, ma si potrà ancora salvare. Evitando di subire ulteriori colpi dai nemici trovando un riparo, infatti, il Cavaliere potrà bere qualche goccia da una misteriosa boccetta che porta sempre al collo (riguardo la quale non posso essere più specifico) e tornare così in forze. Dopo aver compiuto questa operazione, se torneremo nuovamente sulla soglie della morte, stavolta nulla potrà salvarci. Non esiste un tasto preposto alle schivate laterali, anche se in alcuni frangenti potremo compiere una capriola premendo X al fine di evitare di essere coinvolti in una esplosione. Vi saranno inoltre brevi sezioni “alternative” ai canonici scontri al fuoco, ed esse saranno principalmente di tre tipi: nel primo si tratta di classici (e mai impegnativi) quick time event, nei quali dovremo premere il giusto tasto nel giusto momento. Poi abbiamo le
Una delle suddette boss fight.
sezioni stealth, nelle quali dovremo forzatamente evitare di essere scorti anche da una sola delle guardie, pena il game over. Infine avremo delle brevi sezioni nelle quali dovremo, ad esempio, spostare un determinato oggetto per arrampicarcisi, oppure compiere brevi sezioni fatte di salti e arrampicate. Esistono anche delle “boss fight”, per così dire, ma il loro gameplay è molto lontano da ciò che ci aspetteremmo. Si tratta perlopiù di scontri 1 contro 1 all'arma bianca, nei quali schiveremo gli attacchi del nemico con la levetta destra e potremo, a nostra volta, compiere due tipi di attacco, uno veloce e uno potente, ma più lento. Oltre alla modalità principale e alle 3 difficoltà di gioco non v'è nulla, coerentemente alla natura del titolo: niente multiplayer (offline e online) o modalità aggiuntive.


E la trama? C'è, c'è, ed è la componente primaria del titolo. Non vi rivelerò alcun dettaglio “scottante” per non precludervi alcun colpo di scena, ma vediamo le caratteristiche principale di questo aspetto. Innanzitutto la narrazione segue un unico filo che si dirama dall'inizio del gioco fino alla fine. Ad essere precisi, il Capitolo I consiste in un flash forward, ovvero un salto temporale in avanti, che ci mostra una sequenza cronologicamente successiva a quelle che andremo a vivere, instillando in noi la voglia di scoprire come mai ciò cui stiamo assistendo sia accaduto. A proposito dei capitoli essi sono 15 e, giusto per far capire la preminente importanza che ha avuto la componente narrativa all'interno del titolo, alcuni di essi sono composti esclusivamente da uno o più
I Cavalieri sederanno nella famosa Tavola Rotonda.
filmati, senza che si debba sparare un colpo o realmente videogiocare. Questa scelta non potrà ovviamente essere accettata di buon grado da tutti, ma senza dubbio è coraggiosa e contribuisce all'immersività. generale. Nelle fasi nelle quali non dovremo combattere, o infiltrarci in qualche presidio delle forze armate, saremo chiamati ad esplorare gli (incredibilmente lineari, bisogna dirlo) scenari alla ricerca di oggetti da poter analizzare o di “cilindri audio” che contengono al loro interno messaggi vocali ascoltabili dall'archivio in – game che forniscono qualche informazione sui retroscena della trama, ma non sono fondamentali al livello dei Voxafoni di Bioshock: Infinite. Inoltre, la trama non segue solamente le vicende dell'Ordine, bensì presto s'intreccerà con quelle dei Ribelli, comandati da una misteriosa donna e che in più di una occasione metteranno i bastoni tra le ruote dei Cavalieri, e anche con quelle della Compagnia delle Indie Unite, un ente responsabile della stragrande maggioranza delle operazioni economiche dell'Inghilterra e delle sue esportazioni nel mondo. Per quanto riguarda i personaggi, invece, essi sono caratterizzati magnificamente e sono dotati ognuno di una forte personalità e di motivazioni proprie, che li spingono a fare ciò che fanno e a comportarsi in un determinato modo. Anche i comprimari, come ad esempio Sir Lucas o il Lord Cancelliere (il capo dell'Ordine) risultano essere interessanti e ben inseriti nella storia, così come altri personaggi dei quali ora non posso accennarvi al fine di evitare spoiler. Tutta questa carne al fuoco, unita ad una narrazione priva di tempi morti, rende la sceneggiatura di The Order: 1886 una delle migliori di questa generazione videoludica. Unica pecca è che, arrivati ai titoli di coda, ci si rende conto che questo titolo faccia in realtà parte di un disegno più ampio, che sarà portato a compimento con i successivi capitoli.


Postcards from London. Per concludere l'analisi dei principali punti che contraddistinguono il titolo esclusiva Sony, non si può non parlare del maestoso comparto grafico. Il motore che muove il gioco è stato sviluppato da Ready at Dawn e si chiama Rad Engine 4.0. Il titolo gira a 1080p e 30 frame al secondo, anche se dai primi trailer usciti va detto che The Order: 1886 ha subito un notevole downgrade. Il fatto straordinario è che, anche con queste specifiche tecniche, il risultato è meraviglioso. Tanto per cominciare, la quantità di dettagli è strepitosa: tutto, dagli interni delle case o dei vari scenari, ai particolari presenti sulle armi, sulle uniformi e in generale qualsiasi cosa che possa essere contemplata dai nostri occhi è realizzata con una cura ed una dovizia che raramente mi è capitato da vedere. Il passaggio dalle sequenze prettamente narrative a quelle nelle quali controlleremo direttamente Galahad è pressoché impercettibile. Per quanto riguarda le animazioni,
Credo che non ci siano parole.
spiccano soprattutto quelle facciali: i volti dei vari personaggi risultano essere modellati perfettamente e potremo in essi cogliere ogni emozione, in tutte le sfaccettature del caso. Da quelle basilari come la tristezza e la gioia, a quelle più complesse come il disgusto, o il dolore, o la contrazione del volto durante uno sforzo fisico. E per concludere, le poche volte che potremo avere una visione più “ampia” di Londra, come ad esempio da un tetto o direttamente dal Tamigi, anche negli spazi sterminati della città non mancheremo di rimanere a bocca aperta per la spettacolarità degli scorci. In definitiva, non si può muovere pressoché alcuna critica al comparto tecnico di
The Order: 1886 se non l'adozione (come avveniva in The Evil Within) di due fastidiose bande nere orizzontali a limitare il campo dell'immagine.


Conclusioni

Pregi.
- Il motore grafico e il comparto tecnico, ambedue eccellenti.
- La trama e in generale la narrazione.
- La profondità dei personaggi, sia primari che secondari.
- Alcune armi originali.

Difetti.
- Gameplay un po' troppo piatto e lineare.
- La longevità. Seppur il titolo non manchi di qualità, 6 – 8 ore per 70 euro sono troppo poche. (o è il prezzo ad essere eccessivo? Chissà...)
- Extra pressoché assenti.

Spazio ai numeri

Grafica: 9,5 Perfetta in ogni sua componente: 0 bug, 0 compenetrazioni, 0 difetti grafici. Il mezzo punto meno dell'eccellenza somma è per le barre nere orizzontali a restringere l'immagine e per i 30fps, marginalissimi difetti che non intaccano in alcun modo quello che è, indubbiamente, uno dei comparti tecnici migliori di sempre. 


Gameplay: 7 Le fasi shooting sono divertenti, ma non permettono di essere approcciate in molti modi diversi, se non quello di provare ad affrontare i vari scontri di volta in volta con armi diverse. Le fasi stealth sono poche e molto semplici, e l'esplorazione dei livelli è incredibilmente lineare. Su questo aspetto bisognerà migliorare.

Sonoro: 8. Le musiche sono buono e d'atmosfera (soprattutto nel finale), il doppiaggio italiano è invece ottimo: le voci si adattano sempre al personaggio corrispondente e anche l'interpretazione è di alto livello. Il resto è nella media.


Divertimento: 7,5 Qui è la categoria ad essere controversa. Se per “divertimento” intendiamo quanto, pad alla mano, le fasi di gioco risultino essere galvanizzanti e ci invoglino a rigiocare l'avventura molte volte, forse avrei dovuto assegnare un 6. Se invece con “divertimento” intendiamo la capacità di un prodotto videoludico di intrattenere il videogiocatore senza mai fargli perdere interesse, allora avrei dovuto assegnare a The Order: 1886 un 9. La media matematica non sbaglia mai.

 
Longevità: 7
Il gioco dura poco, pochissimo, a dire il vero: appena 8 ore, volendo essere buoni. La rigiocabilità è data giusto dalla voglia di prendere il trofeo di platino, ma non vi sono mai momenti morti o nei quali il gioco non ha nulla da dire e si trascina stancamente alla sequenza successiva. Vuoi per la regia, vuoi per la sceneggiatura o per qualche scontro a fuoco meglio realizzato, le ore di gioco passano talmente in fretta che il giro vale il prezzo del biglietto. Ovviamente, non se il biglietto in questione conta 70 euro.


Voto finale e conclusione: 8 Le basi ci sono tutte: The Order: 1886 è senza alcun dubbio un buon titolo d'esordio per la nuova IP Sony. D'altro canto, è chiaro che in un futuro seguito andranno limati alcuni gravi difetti, primo tra tutti un gameplay troppo lineare, e andrà aumentata la longevità, e ciò escludendo inutili sequenze create tanto per allungare il brodo, ma magari includendo modalità aggiuntive o un qualche tipo di sfida extra. Insomma, in futuro la qualità e la cura per i dettagli dovrà essere la medesima di questo capitolo, così come l'ottimo motore grafico difficilmente potrà esprimersi meglio di così. Aspettiamo futuri sviluppi.

Nicola Bertilotti



sabato 9 gennaio 2016

Until Dawn - Recensione

Until Dawn – Recensione



Anno di uscita: 2015
Piattaforme: Playstation 4
Sviluppatore: Supermassive Games
Producer: Sony Computer Entertainment


Introduzione. Quello dei survival horror è, dall'uscita di Playstation 3 e Xbox360, un genere videoludico sempre meno esplorato, sia a causa dello spopolare di altri generi – qualcuno ha detto fps? - sia perché molto spesso tali opere si allontanano dal concetto di videogioco “moderno” pieno zeppo di azione e con poca, pochissima trama. Quello che ci troviamo davanti stavolta, invece, è l'esatto opposto di quanto appena descritto. A sorreggere Until Dawn, infatti, c'è una sceneggiatura da “teen horror movie” di prima categoria, un cast di attori che hanno impersonato i vari protagonisti e gore e splatter a volontà. Uscito in esclusiva per Playstation 4 nell'Agosto del 2015, questo titolo si proponeva di lasciare al giocatore completa libertà sulle scelte da fare, di modo che ognuno potesse costruirsi – volontariamente o meno – la propria storia. I propositi saranno stati mantenuti?

“Boom: butterfly effect”. L'espediente sul quale il titolo fa leva per spiegare il suo gameplay costituito, perlopiù, da fasi esplorative e da “bivi” nei quali dovremo compiere una scelta è il cosiddetto “effetto farfalla”. Questa teoria, conosciuta anche come “del caos”, può essere sintetizzata nella frase “un battito d'ali di una farfalla potrà provocare, un giorno, un uragano a chilometri di distanza”. Questa locuzione, indubbiamente poco chiara, è invece presentissima nella vita di tutti i giorni di ogni persona, in quanto semplicemente ci dice che ogni minima e all'apparenza insignificante variazione dell'equilibrio di una determinata situazione potrà portare a sviluppi, in futuro, inaspettati. Come esempio potete pensare ad
una classe di ragazzi che stanno seduti negli stessi posti per mesi e poi, ad un certo momento, la maestra decide di spostare qualche bambino più rumoroso in prima fila, vicino ad un ragazzo più tranquillo. I due si conoscono e poi, dopo quindici anni, si ritrovano ad essere migliori amici e ad aver condiviso una fetta della loro vita confidandosi tra loro. Se la maestra non avesse deciso di cambiare disposizione dei posti a sedere, ciò non sarebbe mai accaduto. Citando una battuta di un personaggio di Until Dawn: “Boom, butterfly effect”. Sostanzialmente, quindi, le scelte che dovremo continuamente compiere andranno ad influenzare fattori come i rapporti tra i vari personaggi, le situazioni che andremo a vivere, chi vivrà e chi morirà, chi diventerà coraggioso o chi scapperà come un coniglio, ecc. Il ventaglio di possibilità a nostra disposizione è davvero ampio, tanto che sarà praticamente impossibile non voler rigiocare il gioco due o tre volte per provare varie combinazioni e salvare chi non siamo riusciti durante la prima partita o, al contrario e con un po' di sano sadismo, vedere tutte le morti prima dell'alba. Questa grande possibilità di scelta si riflette anche sull'esplorazione, in quanto saranno vari gli oggetti con i quali potremmo interagire: indizi sul complicato caso di omicidio – suicidio che è successo sulla montagna un anno prima, o su ciò che è successo nelle miniere cinquant'anni or son, o ancora informazioni sullo psicopatico che pare dare la caccia ai protagonisti. E poi ci sono i totem, oggetti collezionabili che s'intrecciano saldamente con la cultura dei Nativi Americani e che, all'atto pratico, forniscono premonizioni su un futuro che potrebbe accadere, e starà alla nostra prontezza di riflessi decidere se vorremo che la profezia che abbiamo visto si avveri oppure
no. Le sezioni più concitate, come fughe o colluttazioni, sono costituite da quick time events, un po' come visto in altre opere come Heavy Rain o Beyond: Two Souls, e questo è tutto ciò che il gioco ha da offrire sul versante “action”. Effettivamente, l'esclusiva Playstation 4 assomiglia più ad un film interattivo che ad un videogioco propriamente detto, tanto che tra un capitolo e l'altro avremo anche dei brevi riassunti dei fatti avvenuti finora, proprio come in una lunga serie tv. Se siete alla ricerca di un titolo dinamico e con un gameplay profondo o movimentato, meglio rivolgersi altrove, poiché Until Dawn è stato volutamente pensato per avere un ritmo lento e ragionato e per avvolgervi con la sua atmosfera.

“Ciak, azione!” Da una produzione che originariamente era stata pensata per avere piena compatibilità con il move, e uscire quindi per Playstation 3, e che è poi solamente dopo passata alla next – gen ci si aspetterebbe una realizzazione grafica pedestre. Per fortuna queste premesse sono disattese, in quanto l'impianto tecnico di Until Dawn convince, a partire dall'illuminazione dinamica, davvero ben fatta e che riesce a costituire giochi di ombre molto suggestivi e a tratti spaventosi. L'atmosfera è a tratti claustrofobica e in altri agorafobica, in spazi estesi e sconfinati come ad esempio la foresta. Il costante buio che
avvolge la casa o le miniere scaverà a fondo nelle paure dei protagonisti e sarà una continua spina nel fianco anche nel videogiocatore, che sarà in uno stato di tensione perenne. Ottimi anche gli effetti particellari quali polvere o neve, e anche la resa del sangue è notevole. Ma il più grande plauso va indubbiamente ai protagonisti, ovvero i nove attori che interpretano i dieci personaggi della storia (un'attrice interpreta entrambe le gemelle Washington). La loro prestazione attoriale è ottima ed i loro movimenti sono stati ricreati alla perfezioni con lunghe sessioni di motion capture, come è possibile vedere dai numerosi filmati del “dietro le quinte” presenti all'interno del gioco stesso. La cosa che sorprende, però, è la resa dei volti, indistinguibili da facce vere e incredibilmente fotorealistici. Questa patina “da film” conferisce al titolo Supermassive Games un appeal unico, difficilmente riscontrabile in altre produzioni presenti sull'ammiraglia Sony e che, ancora una volta, lo accomuna ai più recenti titoli firmati Quantic Dreams.

Tra cliché e novità. È così che si presenta la trama di Until Dawn: un miscuglio tra cose già viste e che sono tipiche dei più stereotipati film horror e novità. Iniziamo dalle prime. Innanzitutto, il ritrovo di ragazzi su una baita sperduta in montagna è quanto di più vecchio possa esistere. Se a ciò uniamo il classico sadico psicopatico e “giochi” alla Saw, otteniamo un bel frullato di cliché. Per quanto riguarda le novità, invece, è da registrare l'enorme cura che è stata data all'aspetto paranormale del gioco, in quanto gli sviluppatori non hanno semplicemente buttato lì qualche mostro o demone o mostro, ma si sono preoccupati di dare alle loro creature una storia verosimile e che s'intreccia con la cultura sciamanica degli antichi indiani d'america e che, se presa nella sua fantasiosa superstizione, non fa una piega.
A tale scopo servono i numerosi indizi presenti nel gioco, ovvero a fornire un background sui fatti accaduti anni prima e che hanno portato alla comparsa di misteriose creature, o sul passato dello psicopatico, fino a svelarci piano piano la sua identità. In conclusione, quindi, la trama regge e non ha alcun buco, ma sono presenti troppi cliché perché possa essere presa a paragone da altre opere future. Rimane comunque una produzione di altissimo livello. Una piccola – ma nemmeno tanto – nota a margine riguarda poi le “modalità” tramite le quali Until Dawn ricerca lo spavento. Il titolo, infatti, si basa quasi esclusivamente sul “jump scare” per infondere terrore nel giocatore, e quasi mai si giunge allo spavento tramite la sola atmosfera. Questo, oltre che ad essere un espediente già di per sé ripetitivo, costituirà un freno per tutti quei videogiocatori che non sono facilmente impressionabili, e che quindi perderanno – per colpa di questa scelta – una buona fetta dell'immedesimazione.

Conclusioni

Pregi:
- La possibilità di scelta, il fascino di vedere l'effetto farfalla che opera davvero e cambia il futuro.
- Impatto grafico e prestazione attoriale si attestano su altissimi livelli.
- Personaggi ben caratterizzati.
- La trama, che seppur banalotta giustifica ogni sua componente e non presenta buchi al suo interno.
Difetti:
- L'azione è davvero poca. Sconsigliato a chi ama ritmi elevati.
- Spaventi quasi esclusivamente basati sul jump scare, cosa che diventa ripetitiva sul medio – lungo periodo.
- Gli stereotipi, sia nella caratterizzazione che nella trama, sarebbero dovuti essere meno.

Spazio ai numeri

Grafica: 9 Tutto, dall'illuminazione alle animazioni facciali, dagli esterni agli interni, dai dettagli agli spazi aperti, è curato nei minimi dettagli. Siamo giusto su gradino sotto del comparto tecnico di The Order, probabilmente per la natura “old gen” che Until Dawn avrebbe dovuto avere.

Gameplay: 7,5
Le scelte influenzano realmente la trama, anche quando sembrerebbero insignificanti, ma già la componente esplorativa è finalizzata solamente al ritrovamento di indizi o totem, e l'azione latita. Difficile chiedere di più ad un videogioco impostato in tal modo, comunque.

Sonoro: 9 Colonna sonora strumentale di buon livello, che contribuisce a tenere alta la tensione, doppiaggio ed effetti molto buoni. L'impianto sonoro fa il suo dovere, così come dovrebbe in ogni videogioco horror, genere in cui il sonoro è fondamentale per ricreare la giusta atmosfera.

Divertimento. 8
Non potrebbe esistere categoria più soggettiva di questa, e sono convinto che per alcuni potrà essere un 10, mentre per altri un 4. Personalmente, penso che la trama sia sufficientemente interessante per tenere il videogiocatore attaccato allo schermo e fare in modo che si diverta, così come le scelte contribuiscono a creare quella voglia di voler andare avanti e vedere cosa succede che, indubbiamente, intrattiene.

Longevità: 8
L'avventura in sé dura poco, 7 – 8 ore in tutto, ma è inutile dire che la rigiocabilità è altissima. È quasi obbligatoria iniziare una nuova storia compiendo scelte diametralmente opposte a quelle fatte durante la prima partita, e magari anche una terza, per esplorare ogni possibile variante.

Voto finale e conclusione: 8,5 Until Dawn rappresenta un'ottima esclusiva Sony e, anche se non raggiunge gli eccelsi livelli di Bloodborne, è un videogioco che, a mio parere, bisognerebbe provare, specialmente sfruttando i periodici sconti delle catene più famose e trovandolo a prezzo ribassato. In fondo, gli unici veri difetti imputabili ad Until Dawn riguardano cose che ogni videogiocatore deve giudicare nella sua soggettività. I pregi, invece, sono granitici.


Nicola Bertilotti

giovedì 24 dicembre 2015

Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm 4 – Demo

Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm 4 – Demo





Versione testata: Ps4

Da pochi giorni è disponibile sul PSN una breve demo di Naruto Shippuden Ultimate Ninja Storm 4 che ci consente di affrontare la battaglia tra Hashirama e Madara vestendo i panni del primo hokage. Seppur molto corta, questa demo ci offre la possibilità di saggiare con mano alcune novità che saranno presenti in questa nuova incarnazione (data di uscita prevista: 6 Febbraio 2016) videoludica delle avventure del ninja più famoso del mondo, in primis riguardanti l'impatto grafico.
Primo titolo della serie ad essere sviluppato per next – gen, infatti, vanta miglioramenti tecnici vistosi che balzano subito all'occhio soprattutto per quanto riguarda gli effetti
particellari delle varie tecniche, il fuoco, i fulmini e altri elementi di contorno quali polvere e detriti. Una volta avviata la demo, potremo scegliere fin dall'inizio se giocarla con i dialoghi in inglese o in giapponese e, una volta fatta la nostra scelta, verremmo catapultati subito nel bel mezzo dell'azione. Ancora una volta, durante particolari e significative battaglie che hanno contraddistinto epici momenti nel manga saranno presenti i quick time event e gli scontri si svolgeranno in più fasi. Nello specifico, quella tra Madara e Hashirama vedrà una prima fase dove i tuoi contendenti si sfideranno in una battaglia uno contro uno abbastanza classica, intervallata da qualche comparsata del Susano'o di Madara a scagliarci contro spadate di chakra e meteore. Ad un certo punto, però, sul campo compariranno due spade, che il giocatore potrà brandire andando così a cambiare il ventaglio di combo a propria disposizione e incrementando la quantità di danni inflitti. Inoltre, man mano che ridurremo la barra vitale del nostro avversario, la sua armatura finirà in pezzi, consentendoci di causare danni ancora più velocemente. In questo modo, inoltre, gli scontri risultano essere molto più “fisici”; si riesce quasi a percepire la fatica della battaglia. A questa prima fase ne
fa seguito una composta da quick time events nella quale possiamo ammirare i miglioramenti anche sul fronte delle espressioni facciali, davvero incredibili, e subito dopo la battaglia assume dimensioni colossali. I due contendenti, infatti, caleranno sul campo gli assi: Hashirama evocherà un golem di legno, mentre Madara rivestirà dell'armatura del Susano'o la volpe a nove code controllata con il suo Sharingan. Il combattimento tra i due colossi sarà inevitabilmente più lento rispetto alla fase precedente, ma non per questo meno spettacolare. Al termine dello scontro dovremo eseguire correttamente una lunga serie di QTE per riuscire finalmente a sconfiggere il nostro avversario una volta per tutte, e poi la demo avrà fine. Le nostre prestazioni verranno valutate con la classica scala di valori che va da “D” ad “S” in base alla velocità con la quale avremo completato lo scontro, l'energia rimastaci e la prontezza nell'eseguire i quick time events.

Prime impressioni. La porzione che ci viene consentito di testare con mano è troppo scarna per dare un giudizio decisivo sulla bontà o meno di questo nuovo capitolo della saga Ultimate Ninja Storm. È indubbio che i progressi a livello tecnico siano tangibili, soprattutto per quanto riguarda gli effetti particellari, ma rimane ancora da valutare il frame rate nelle situazioni più concitate, l'equilibrio del vastissimo roster dei personaggi in battaglie uno contro uno o a squadre, e in generale la quantità e la qualità delle varie modalità, per non parlare dell'online. Per ora il gioco viene “rimandato a Settembre”, nella speranza che qualche settimana prima dell'uscita venga resa disponibile una demo con qualche personaggio giocabile liberamente in quanti combattimenti si voglia. 

Nicola Bertilotti 

giovedì 17 dicembre 2015

Numbero One: Trinity Blood

Number One: Trinity Blood

Data di pubblicazione: 2004 – in corso
Numeri: 16
Casa editrice: Planet Manga
Autore: Kiyo Kyuiyo (disegni), Sunao Yoshida (soggetto), Thores Shibamoto (character design)






Prefazione. Trinity Blood avrebbe dovuto essere, originariamente, una saga composta da 12 romanzi ad opera dello scrittore Sunao Yoshida, rimasta però incompiuta a causa della prematura scomparsa dell'uomo. Nell'anno di grazia 2003, ad una esordiente Kiyo Kyuiyo è stato dato l'arduo compito di trasformare la saga in uno shojo, operazione non facile visto che i romanzi contenevano al loro interni elementi appartenenti a vari generi quali lo sci – fi, il noir, l'investigativo e così via, e soprattutto la difficoltà è data dalla miriade di personaggi che, come è facile immaginare, un'opera costituita da 12 liberi poteva presentare al suo interno. Un compito per nulla semplice, quindi, soprattutto poiché gravava sulle spalle di una mangaka all'epoca esordiente e visto anche quanto stretti sono i tempi lavorativi che attanagliano coloro che intraprendono tale professione (tra l'altro spesso travisata soprattutto in Occidente, in quanto si pensa che un “mangaka” altro non faccia che fare disegni quando più gli va). L'impresa è titanica, ma il risultato? Scopriamolo andando a leggere, pagina dopo pagina, il primo tankobon di Trinity Blood.



La storia inizia con il fortuito incontro dei nostri due protagonisti, Padre Abel Nightroad e suor Esthel Blanche, quest'ultima accompagnata dal fido Dietrich. Padre Abel è stato inviato dal vaticano a supervisionare la situazione nella chiesa di Màtyàs, divenuta pericolosa a causa della comparsa di entità chiamate “Vampiri”. Quella sera stessa, infatti, sarà proprio l'attacco di un Vampiro a minare la sicurezza all'interno della chiesa, visto che la creatura prosciugherà il sangue di vari suore e frati apparentemente senza un perché. Giunta sulla
Suor Estel Blanche in tutto il suo splendore.
scena del crimine, anche Esthel rimane coinvolta nella colluttazione, rischiando perfino di venire assassinata. Per fortuna, però, la ragazza perde semplicemente conoscenza. Padre Nightorad, caduto fragorosamente dal tetto della chiesa dove si era appostato per sorprendere il Vampiro, riesce a catturarlo trasformandosi in un misterioso essere ibrido tra un angelo ed un demone denominato “Krsnik”, dotata di folti capelli argentei, ali nere e occhi di brace. Nightroad afferma che, così come esistono creature – i Vampiri – che si nutrono di sangue umano, sarebbe sciocco pensare che non ne possa esistere una che si nutra di sangue di Vampiro. Inoltre è chiaro fin da subito che il prete, ancora per motivi ignoti, non ha alcuna intenzione di svelare in pubblico la sua forma alternativa. Il giorno successivo suor Esthel matura la decisione di viaggiare fino in Ungheria, in direzione del castello di Lord Gyula, ovvero il Vampiro che

La prima apparizione del Krsnik.
aveva inviato il suo emissario alla chiesa di Màtyàs e che quindi si cela dietro l'intera faccenda. Madre Vitèz, ovvero l'arcivescovo della chiesa, è abbastanza riluttante a lasciar partire Esthel, che considera come una figlia, ma alla fine acconsente. Nell'esatto momento in cui le due si salutano e si separano, una potente esplosione distrugge la chiesa e uccide l'arcivescovo. Subito dopo appare un contingente capitanato da due loschi individui, il maggiore Tres Ics e Ladokàn, due ufficiali della gendarmeria al servizio di Lord Gyula. Nightroad ordina a Dietrich di mettere al sicuro Esthel e decide così di rimanere ad affrontare i due e i relativi sottoposti da solo. Per fortuna il maggiore Ics si rivela essere in realtà la guardia del corpo di Padre Abel e riesce, con una veloce raffica di colpi, ad uccidere i sottoposti e catturare Ladokàn. L'uomo è in grado di fare ciò poiché è in realtà una macchina, un robot, e possiede quindi tempi di reazione decisamente inferiori a quelli dei normali esseri umani. Successivamente, al funerale di Vitèz, Esthel è presa dallo sconforto e si lascia andare ad un pianto che, promette, sarà l'ultimo. Nightroad la conforta e la sostiene,
dicendo che anche se il futuro le sembra oscuro non deve sentirsi sola, poiché non lo è. I due partono quindi alla volta del castello di Gyula e vi fanno irruzione all'interno. Ad attenderli, però, vi è una spiacevole sorpresa: anche Dietrich, come Tres, fa il doppiogioco. Egli, inoltre, possiede un potere terribile: grazie a degli speciali fili può controllare addirittura i sensori neuronali di una persona, costringendola ad agire contro la sua volontà. Difatti Esthel, non potendo opporsi in alcun modo, spara svariati colpi di pistola a Nightroad, il quale cade riverso a terra. Gyula, nel frattempo, spiega che il fascio di luce che ha investito la chiesa di Màtyàs è scaturito da un ex – satellite, ora adibito ad arma di distruzione di massa, chiamata “La Stella di Lacrime”, la quale è puntata sul Vaticano, sede centrale da dove proviene padre
Padre Abel e Padre Tres.
Abel e svariati altri preti. Il Vampiro spiega inoltre ai volgari “Terran” (il nome con i quali le Creature della Notte si rivolgono agli umani) di essere mosso da un acuto desiderio di vendetta verso i preti del Vaticano, in quanto furono proprio loro ad ardere sua moglie Maria sul rogo. Ancora una volta Abel – rimasto miracolosamente in vita dopo i colpi subiti – riesce ad allontanare Esthel dalla sua posizione e può quindi utilizzare il Krsnik. Dopo un duro combattimento ad avere la meglio è proprio Nightroad, il quale deve però resistere anche ad un ultimo assalto da parte di Ladokàn, inspiegabilmente fuggito dalla sua reclusione e giunto in soccorso di Gyula. Sarà il lesto intervento di Tres a fermare sul nascere questa iniziativa, ma nello scontro a fuoco a rimanere gravemente ferito sarà proprio Gyula, lanciatosi disperatamente sul corpo di Esthel per proteggerla. La vicenda si conclude con la morte di Lord Gyula, il quale potrà finalmente raggiungere la moglie nell'aldilà. In seguito Abel, Tres ed Esthel decidono di intraprendere un viaggio che li condurrà fino al Vaticano, a Roma, luogo dove forse suor Blanche potrà ottenere le risposte alle domande che questa vicenda le ha fatto scaturire.



Punti fondamentali


Storyline. Come accennato nell'introduzine, essendo tratto da una serie di romanzi la trama di Trinity Blood è estremamente complessa. Una cosa che non si può evincere solamente dal primo numero è che la narrazione procede per “saghe”, lunghe variabilmente dai 3 ai 5 volumi, ognuna delle quale introduce storie e personaggi differenti. La carne al fuoco è di volta in volta molta e, già dal primo volume, ci vengono presentate numerose situazioni che ricorreranno più avanti. Inoltre, molti misteri vengono accennati e non svelati, e alcune frasi lette di sfuggita saranno invece il cardine dei numeri successivi. Non si registrano buchi di trama o saghe poco interessanti, né falle nella narrazione o nel ritmo, che procede sempre ottimamente alternando scene comiche, combattimenti e momenti più riflessivi e tristi.



Stile. C'è veramente poco da dire: i disegni di Kiyo Kyuiyo sono una gioia per gli occhi. Pieni di particolari, dettagliatissimi, complessi eppure chiari, sontuosi, in una parola: magnifici. Su questo punto i discorsi da fare sono veramente pochi; la lentezza nella cadenza di uscita del manga (che può avere pause anche di 6 - 8 mesi) è dovuta proprio ad una minuziosa ricerca della perfezione nel tratto e nella varie tavole da parte dell'autrice e, sia come varietà di pose, di ambientazioni e di vestiario, ci troviamo di fronte ad un capolavoro grafico sotto ogni punto di vista.



Personaggi. La caratterizzazione dei personaggi è abbastanza classica, seppur non fastidiosamente stereotipata. Una cosa che si nota riguardo l'opera di Kiyo Kyuiyo è che ognuno dei suoi personaggi, che siano primari o secondari, è interessante sotto qualche punto di vista, che si tratti della caratterizzazione estetica o di quella caratteriale. Nightroad è divertente nei suoi momenti comici, dove “interpreta” il ruolo del prete svitato e fuori dal mondo, ma è tremendamente serio in altre situazioni. Inoltre, in lui risiede il fascino del mistero del Krsnik. Esthel è una ragazza fragile ma determinata ad ottenere risposte e che non lesina di mettere tutta se stessa in quello che fa, anche correndo innumerevoli pericoli. Tres, in quanto macchina, ha una visione molto schematica e rigida del mondo, fatta di numeri e non di impressioni sensibili, ma non per questo è un personaggio stagnante ma anzi, è proprio questo suo modo di fare a costituire la sua principale ragion d'essere. Tutti questi "tipi umani" costituiscono un ottimo ed interessante mix, che fa sì che ci si affezioni ad alcuni di essi o si arrivi perfino ad odiarli.



Consigliato? Assolutamente sì.
Non fatevi spaventare da chi lo bolla come “manga sui vampiri” e non pensate a Twilight: Trinity Blood si pone completamente su un altro piano. Sicuramente ci sono dei pronunciati ammiccamenti agli shojo (genere che forse è presente in maniera primaria all'interno dell'opera) e agli yaoi/yuri (senza niente di evidente o esplicito), ma il cuore del fumetto è una trama complessa e ben scritta accompagnata da degli ottimi personaggi ed una caratterizzazione grafica degli stessi eccezionale. 


Nicola Bertilotti

lunedì 7 dicembre 2015

Let's talk about... DOOM

Let's talk about... DOOM

Prefazione. Proprio ieri si è conclusa la Closed Alpha (che, lo ricordo, differisce dalla beta concessa a chi ha prenotato Wolfenstein: the New Order) del reboot della storica saga fps di Id Software, esclusivamente dedicata al gioco multiplayer. Una sola mappa, una sola modalità (deathmatch a squadre), 6 armi e 2 gadget, per un totale di tre giorni di pura carneficina: questo è ciò che la Closed Alpha ha avuto da offrire. Quale migliore occasione, quindi, per dare un'occhiata ad uno scorcio della modalità online del nuovo DOOM?



Prima di entrare in una lobby pronti ad uccidere qualsiasi cosa si muova, ci verrà data la possibilità di modificare il “loadout” (la dotazione del nostro personaggio) delle varie classi, avendone già quattro predefiniti e potendone aggiungere due di nostra creazione. Potremo combinare in qualsiasi modo le 6 armi a nostra disposizione – che sono: un fucile al plasma che spara veloci raffiche energetiche, un lanciarazzi, un fucile a ripetizione di tre proiettili per volta, la celeberrima “shotgun”, fucile a pompa con due canne, un fucile da cecchino denominato Vortex e una specie di cannone, devastante a medio – lungo raggio – e i due gadget, una granata a frammentazione ed un teletrasportatore portatile, ovvero un dispositivo che, dopo che è stato lanciato, permette, tramite la pressione di un tasto, di essere istantaneamente teletrasportarti in quell'esatto punto: utilissimo per sorprendere gli avversari. Ogni arma è dotata anche di una modalità di fuoco secondario: quella del lanciarazzi, ad esempio, permette di far detonare in volo i razzi, anche prima che incontrino un ostacolo, tramite la pressione di un tasto. La modalità secondaria del Vortex, invece, consiste in un colpo caricato, il quale richiede un paio di secondi per essere pronto, ma che può uccidere istantaneamente un avversario se colpito alla testa. Il Plasma Rifle (il fucile energetico a ripetizione) ci consente di sparare un globo di energia che infliggerà gravi danni agli avversari colpiti, e così via. Una volta completate le operazioni preliminare di modifica del loadout e di matchmaking, saremo pronti ad imbracciare le nostre armi e a commettere quanti più frag possibile. Il gameplay di questa modalità è molto simile a quello dei vecchi sparatutto “arena”, come ad esempio Quake III o Serious Sam, o ancora Unreal Tournament, con livelli composti da spazi chiusi con tante possibilità di incontro tra i giocatori e pieni zeppi di power – up, che vanno dai medikit ai pezzi di armatura per aumentare la resistenza. Sarà possibile compiere un doppio salto, aggrapparsi alle sporgenze per salire sopra a delle strutture ed utilizzare brevemente il jetpack per coprire una distanza maggiore, tutte cose che ampliano le possibilità di fuga durante uno scontro particolarmente ostico. Oltre ai già citati power – up, ne sono presenti alcuni più specifici: il primo, probabilmente esclusivo della mappa presente nell'Alpha, è un'arma dotata di soli 4 colpi ma che può potenzialmente garantire 4 uccisioni, se ben utilizzata: si tratta del Cannone Gauss (nome originale: Gauss Cannon, nda.), un pesante fucile che spara un singolo, devastante raggio laser. Il secondo potenziamento, che comparirà ad intervalli di tempo casuali nel punto dove si può raccogliere il Cannone Gauss, conferisce al giocatore una temporanea invisibilità (simile a quella di Crysis 3, per intenderci), molto utile per sorprendere gli avversari. Infine, l'ultimo power – up è forse quello più distruttivo: si tratta di una speciale runa, che comparirà in un punto sempre diverso della mappa e sarà preceduta da un annuncio vocale, che consentirà di trasformarsi per un minuto in un Demone. Nell'Alpha era disponibile solamente il Revenant, il classico scheletro dotato di lanciamissili canonico della saga di DOOM. Il Revenant può compiere salti più alti rispetto
ad un normale giocatore e volare più a lungo grazie al suo jetpack, ed inoltre dispone di 250 punti ferita (quasi il triplo del normale) e di due lanciarazzi montati sulle spalle, i quali possono portare un'infinità di uccisioni alla squadra. In caso di morte prematura del Demone – il power – up terminerà dopo 60 secondi – un giocatore potrà raccogliere nuovamente la runa e sfruttare lui stesso il potere per il tempo restante, o fino a che non verrà ucciso a sua volta. Graficamente il gioco si presenta già bene, con un buon livello di dettaglio ed un frame rate mai ballerino, cosa che è fondamentale per uno shooter in prima persona. Il matchmaking è stato, nella mia personale esperienza, altalenante: sono passato da una prima fase priva di qualsiasi segno di vita e nella quale era impossibile giocare ad una, poche ore dopo, nella quale ho istantaneamente trovato una lobby cui unirmi. Le partite si sono rivelate essere tutte molto frenetiche ed incredibilmente divertenti, tanto che era difficile trovare momenti morti ma non per questo impossibile riuscire a “ragionare” per un attimo anziché continuare a premere forsennatamente il grilletto.  A conti fatti, se le premesse di Id Software sono queste, e se gli sviluppatori sapranno fare tesoro dei dati ricavati dall'Alpha ed implementare il catalogo di armi, gadget e Demoni, ci troveremo sicuramente di fronte ad un serio candidato a spodestare i capisaldi del genere.

Nicola Bertilotti

giovedì 3 dicembre 2015

"Perchè gioco ai videogiochi?"

"Perchè gioco ai videogiochi?"



Proprio così. Forse vi sarete posti questa domanda un sacco di volte, e ancora non siete riusciti a trovare una risposta adatta. Perchè voi (e me, ovviamente.) passate così tante ore davanti alla tv, cercando di conquistare un trofeo, uccidere il boss di turno che vi sbarra la strada o semplicemente a trovare il modo di superare quel fastidioso enigma che vi sta bloccando da un sacco di tempo? Qual è quel “non so che” di magico che vi porta a portare a termine un titolo anche se ha la peggior trama mai scritta sulla faccia della terra solo perchè ha un gameplay magnifico? Cerchiamo di scoprire la risposta a questa fatidica domanda elencando i cinque principali motivi che ci fanno venire voglia di giocare ancora, e ancora, e ancora...


1. I videogiochi sono divertenti. “E certo che lo sono, genio!” , mi starete sicuramente urlando. Eppure, per una non banale domanda, occorre sicuramente una banale risposta, tanto per iniziare. I videogiochi, per molti persone, rappresentano il momento nel quale staccano dai problemi della vita semplicemente premendo un tasto e sedendosi sul divano, e ciò accade perchè provano piacere nel farlo. Non sono qui per contestare il fatto che giocare l'ennesimo deathmatch a Call of Duty o la cinquecentesima partita a FIFA possa effettivamente annoiare piuttosto che intrattenere (Chi sto prendendo in giro? Ovvio che sono qui per farlo.), ma il principio di fondo rimane: oscuriamo per un attimo ciò che ci sta attorno, stacchiamo la spina per qualche dolce, dolcissimo minuto, e siamo felici grazie al mezzo videoludico domestico. Nella sua banalità, ciò ha un potere immenso.


2. I videogiochi possono teletrasportarti in un mondo fantastico e meraviglioso. Pensateci: quante volte ci siamo ritrovati persi in uno sconfinato mondo fantasy ammirandone il paesaggio, le costruzioni, gli abitanti, gli animali, la flora...? Solo per citare qualche esempio, pensiamo alla città sottomarina di Rapture del primo Bioshock: il primo impatto con essa, il discorso di Andrew Ryan, la presentazione della città con quelle scenografiche scritte nei cerchi, le balene che nuotavano a fianco della nostra battisfera... O ancora, andiamo indietro con la memoria alla saga di Final Fantasy: anche tralasciando le ultime incarnazioni della serie, se ripensiamo a quando i modelli tridimensionali di personaggi e scenari erano appena abbozzati ci rendiamo conto di quale sia il vero potere dei videogiochi. E a ciò bisogna dare merito.


3. Ma sto giocando ad un videogioco o sto guardando un film? Questa è una tendenza che si è sviluppata soprattutto nell'ultimo decennio, grossomodo a partire da quel capolavoro Quantic Dream che è Heavy Rain e proseguita poi con Beyond: Two Souls. Nel primo titolo da me citato il gameplay non consisteva in altro se non in alcuni QTE (ben studiati, a dir la verità) che avevano un diretto effetto sui personaggi da noi controllati, i quali potevano addirittura decedere a seguito di una nostra mossa sbagliata e ciò avrebbe di conseguenza influito sul proseguo dell'esperienza videoludica. Se a questa libertà d'azione uniamo una narrazione che assomiglia molto a quella di un film giallo con tinte noir, è facile comprendere come l'approccio utilizzato da Heavy Rain sia unico nel suo genere e destinato a fare scuola. Seppur col lavoro successivo Quantic abbia provato a migliorarsi, i risultati sono stati a dir poco deludenti, riuscendo ad andare ad incidere in maniera positiva solamente per quanto riguarda le animazioni dei personaggi, soprattutto quelle facciali. Ciò che è certo è che, almeno a parer mio, certi esperimenti meta – videoludici siano assolutamente da premiare e foreggiare, e sicuramente il recente Until Dawn ci potrà dare ancora una volta conferma di quanto si possa porsi a metà strada tra un film ed un videogioco vero e proprio mettendo d'accordo pubblico e critica.


4 .I Party Games! Sono un po' preoccupato, e vi dirò il perchè: mi sto immaginando un hardcore gamer ultra - trentenni, ma di quelli belli tosti che hanno preso scomuniche su scomuniche a causa di Donkey Kong, Super Mario e Dark Souls, che legge questo quarto punto. Probabilmente avrà già distrutto parte della propria stranza per la rabbia. Per chi non lo sapesse, dai videogiocatori più hardcore i party games sono considerati spazzatura. Io non sono certo qui per smentirli, ma vorrei solo ricordare che giochi come Just Dance, Guitar Hero, Sing It!, Mario Karts, Rayman Raving Rabbids siano l'apoteosi del divertimento, soprattutto se si è disposti a chiudere un occhio su evidenti difetti, risiedenti soprattutto in una troppo pronunciata ripetitività delle meccaniche, e che riescano a costituire un'ottima alternativa ad un film per una serata in compagnia di amici. E' chiaro, per fortuna non tutti questi titoli richiedono di dover fare gli imbecilli per poter giocare degnamente, ma anche la Nintendo Wii, con la sua vasta gamma di titoli “di gruppo”, ci insegna che è possibile tratte divertimento anche interagendo con il gioco e con gli altri. Basta sapersi adattare. In fondo, è solo per qualche ora.


5. I videogiochi mettono in contatto le persone. Oramai è innegabile, stiamo vivendo l'era d'oro di internet e dei social: tutti sono messi in contatto gli uni con gli altri ed essi con il mondo, ed i videogiochi non fanno eccezione. Recentemente si sta assistendo ad un incremento del fenomeno del “Free to Play” anche sulle console casalinghe, e come è rinomato certi tipi di videogiochi si fondano sulla cooperazione attiva tra videogiocatori. Titoli come League of Legends, fondati sull'aiuto reciproco tra membri di uno stesso team (Certo, certo, con quella community poi... ;) ) o più in generale di un qualsivoglia MMORPG che abbia componenti di PVE cooperativo e PVP competitivo possono aiutare persone che non riescono a relazionarsi in altri modi a compiere un primo importante passo. Certo, non divinizziamo un fenomeno che è comunque dettato da ferree leggi economiche e commerciali, ma dalla parte di chi usufruisce del servizio ciò è a volte visto come un'opportunità, ed è corretto assegnare il giusto merito alle cose.

Nicola Bertilotti