martedì 27 ottobre 2015

Number One: Noragami

Number One: Noragami



Data di messa in onda: 5 Gennaio – 23 Marzo 2014
Episodi: 12 da 23 minuti ciascuno
Prodotto da: Studio Bones
Tratto da un'opera di: Adachitoka





Prefazione. Chi non desidererebbe avere al proprio servizio un Dio spendendo la modica cifra di pochi centesimi? Un Dio che ritroverà per voi il vostro micio, o zittirà il vostro compagno di banco che vi prende in giro, o impedirà alla vostra professoressa di matematica di venire a lezione... Ebbene, il Dio Yato può farlo. Come? Non conoscete il Dio Yato? Bhé, a quanto pare non siete i soli, dal momento che la dinività in questione non riscuote di un grande successo tra gli umani... Eppure, come farebbe una qualsiasi prostituta di basso rango per racimolare qualche soldo, scrive il suo numero di telefono sui muri della città, si presta a qualsiasi tipo di incarico ed è sempre gentile e cordiale con tutti! E tutto per costruire il suo personale santuario...





Con queste quasi deliranti premesse si apre il primo episodio, che incomincia mostrandoci una panoramica di una tipica scuola giapponese, dopodiché l'inquadratura stringe in particolare su una classe impegnata in un test d'esame. Fuori dalla finestra appare, inspiegabilmente invisibile agli occhi di tutti se non di una ragazzina, una specie di mostro dalla forma allungata. La ragazza, in quel momento, invoca il Dio Yato, che subito si
Yato in tutta la sua bellezza.
presenta... come proprio non ce lo aspetteremmo. Tuta, foulard d'ordinanza e pantaloni comodi: ecco la vera immagine di una divinità. Subito Yato si getta all'attacco del mostro brandendo un pugnale, che egli chiama in realtà “Strumento Divino” (Shinki) e che scopriremo, di lì a poco, essere una persona. Dopo che Yato è riuscito a sconfiggere il mostro decide, a seguito delle proteste della sua arma, di rilasciarla, spezzando così il contratto che li lega. E' così che, nei giorni successivi Yato, disarmato, decide di dedicarsi a lavori più umili rispetto all'uccisione di strani spiriti maligni. Lavori come il ritrovamento di un gattino disperso, per esempio. Una volta accettato l'incarico, Yato si impegna da subito nella ricerca del micio scomparso. Le sue peripezie lo porteranno ad incrociare la strada di Hiyori Iki, una studentessa che, assieme a delle amiche, si è fermata a leggere l'annuncio che parla proprio della scomparsa di Milord. Yato, consapevole della sua intangibilità di essere divino, individua il gatto in mezzo ad una trafficata strada e subito vi si getta all'inseguimento. Proprio in quell'istante, un autobus sta per passare a tutta velocità da quella parte: di sicuro
Il sogno segreto di Yato: diventare un re massaggiato.
Yato morirebbe, o almeno questo è quello che deve pensare Hiyori la quale, senza pensarci due volte, si getta verso Yato e lo spinge via, venendo però travolta dall'autobus in corsa. Hiyori si risveglia in ospedale, miracolosamente (quasi) illesa dall'accaduto. Yato viene a farle visita la notte stessa, adducendo come motivazione che, poiché la ragazza si è preoccupata delle sue condizioni di salute, allora lui riteneva giusto ricambiare il gesto. Yato inoltre rivela a Hiyori di essere un Dio, ma chiaramente lei non gli crede. Non appena Hiyori è abbastanza in forze per poter tornare a scuola, da subito iniziano a capitarle strani ed improvvisi attacchi di sonno. La ragazza, però, non si ricorda molto bene che cosa sia accaduto subito dopo l'incidente, poiché le sembra di essersi vista riversa a terra, come se si fosse in qualche modo sdoppiata. L'unico modo per avere delle risposte, pensa Hiyori, è quello di rivedere Yato e fargli delle domande; e l'unico modo per rivedere Yato è quello di trovare Milord, il micio. A trovarlo per primo è però il nostro Dio combinaguai, che fa di nuovo il suo incontro con uno spirito (che questa volta chiama “Fantasma”), e dal quale è però costretto a fuggire poiché ancora disarmato. Ancora una volta a salvarlo ci pensa Hiyori, la quale mette K.O. il mostro con un poderoso calcio da arti marziali miste. Con questa le volte che Hiyori in qualche modo ha salvato Yato salgono a
Il primo incontro Hiyori - Yato: colpo di fulmine?
due. Un nuovo attacco di sonno però la coglie alla sprovvista, e così Yato la porta lontano dal luogo in cui si trovano. Il Dio le spiega che, da questo momento in poi, saranno molto frequenti le volte in cui il corpo di Hiyori se ne rimarrà privo di vita in un determinato luogo, mentre la sua anima se ne andrà in giro liberamente. Ecco dunque spiegato il ricordo di Hiyori: la ragazza aveva visto il suo corpo riverso a terra tramite la sua anima. Quest'ultima è in tutto e per tutto identica a Hiyori, se non fosse per la presenza di una strana coda da gatto dall'utilità non ancora ben specificata. Hiyori chiede allora l'aiuto di Yato per poter tornare normale e, una volta pagata la strabiliante cifra di cinque yen, il Dio le promette aiuto, e l'episodio quindi finisce.



Punti fondamentali



Storyline. Il mix di comicità, azione e momenti più seri costituisce fin dall'inizio un ben riuscito pastiche. Da una parte abbiamo le stravaganze di Yato - dai risvolti tipicamente “giapponesi” - che non possono non strappare un sorriso. Tutto l'anime è permeato da una continua vena comica, la quale non appare mai fuori luogo o esagerata. Dall'altra, invece, abbiamo parti che si prendono più sul serio (specialmente quelle che riguardano i combattimenti o i momenti nei quali vediamo sia Yato che Hiyori all'opera). Questa mistura produce una costante alternanza di fasi che riesce, a conti fatti, ad intrattenere e risultare interessante e, al tempo stesso, accattivante.

Stile. Essendo uscito nel 2014 ed essendo stato animato dallo studio Bones (Full Metal Alchemist e Full Metal Alchemist: Brotherhood, tra gli altri, ndr.), le aspettative riguardo la qualità complessiva del prodotto devono essere giustamente alte. E per fortuna esse vengono rispettate. L'animazione è infatti di ottima qualità ed utilizza le più recenti tecniche sia nel campo della programmazione dei modelli sia nella reinderizzazione dei disegni a mano trasformati poi in computer grafica. I personaggi ripropongono fedelmente ciò che appare nelle pagine dell'omonimo manga (e questo è un bene), e di conseguenza l'eccessiva semplicità dei tratti  che a volte traspare in alcuni frangenti, soprattutto per quanto riguarda le espressioni e i volti in generale, non è che da implicare ad una volontà di rimarcare quanto più possibile l'opera cartacea. Un grande impatto visivo ce lo forniscono i colori: la tavolozza utilizzata è infatti molto ampia, ma a risultare gradevole (oltre che a fungere da “riempitivo visivo”) è la vividezza degli stessi e la loro varietà.


Personaggi. Solo note positive fino ad adesso, quindi, ed il trend prosegue anche andando ad esaminare i personaggi. Se ci concentriamo solamente sul primo episodio ne vanno presi in considerazione due: Yato e Hiyori. Nei venti minuti che compongono la puntata sfido chiunque a non innamorarsi di Yato: un Dio sfigato e guascone come pochi, che si fa pagare la misera cifra di cinque yen per ogni servizio che svolge nella speranza di poter venir venerato come uno dei maggiori dei e di avere un santuario tutto suo (tradizione anch'essa di stampo tipicamente giapponese). Come non amarlo? Inoltre è fin da subito palese che Yato, nonostante sia un dio della guerra, abbia un animo buono e gentile, e sia per questo sempre pronto ad aiutare gli altri. Eppure, non per questo è da escludere un suo lato più aderente al suo campo, magari anche cinico e spietato. Sarà da vedere. Venendo a parlare di Hiyori, essa non è assolutamente la classica ragazzina indifesa e stereotipata che ci aspetteremo da un prodotto tipicamente giapponese; anzi: le piacciono le arti marziali, solo che non può dirlo alla madre perché la cosa non sarebbe adatta ad una studentessa, e non esita a mettere a rischio la propria vita per salvare uno sconosciuto. Inoltre, Il rapporto che si può venire a creare tra lei e Yato e tra Yato e il suo futuro Strumento Divino destano sicuramente curiosità. Anche per questa caratteristica, quindi, niente da eccepire.



Consigliato? Assolutamente sì.
Non vi è alcun motivo per sconsigliare la visione di Noragami. A mio parere vi affezionerete fin da subito ai personaggi e vorrete vedere dove vi condurrà questo anime, se a sbellicarvi dalle risate o se a piangere raggomitolati in posizione fetale per qualche scossone inaspettato a livello di trama, e rimarrete anche piacevolmente sorpresi dall'ottimo lavoro di animazione svolto dallo studio Bones. Quindi date un occasione a Noragami e anche voi, come me, non ne rimarrete delusi.


Nicola Bertilotti

giovedì 22 ottobre 2015

Let's talk about... Social Network

Let's talk about... Social Network



Con questo titolo, che tanto assomiglia ad una consegna di un tema di seconda liceo, volevo sentirmi un po' di più “blogger” nel senso più dispregiativo che il termine ha assunto in termini recenti, ovvero di colui che, non avendo un proprio pensiero autonomo, cavalca la cresta dell'onda e parla di argomenti sempre molto chiacchierati. Sì, credo proprio che questa definizione mi appartenga.
Sperando con tutto il cuore che questo articolo non risulti infine essere una summa di banalità e ovvietà, vi deluciderò sul perché io abbia deciso di toccare questo argomento: la verità è che non possiamo prescindere dai social network. Chiunque stia leggendo questo articolo o ci è arrivato tramite Facebook, o tramite Twitter, o tramite Google+ e via discorrendo, perché oramai tutti siamo connessi con tutti. Sempre. Ma prima di iniziare con il discorso vero e proprio, è bene ricorrere a nozioni di base chiarificatrici.
Per Social Network s'intende (e qui mi avvalgo del Santissimo Wikipedia, che oramai andrebbe personificato e venerato come un Dio per quante volte ci salva le terga anche senza che noi ce ne accorgiamo) “un servizio internet il quale, sfruttando le capacità offertegli dai moderni dispositivi tecnologici, consente la gestione dei rapporti sociali”, facilitando la comunicazione e permettendo la condivisione di qualsivoglia tipo di materiale, scritto, visivo o audio.
Va' inoltre chiarito che non tutti i Social Network sono uguali, e qui mi permetto di introdurre tre principali categorie.

La prima, del quale l'esponente più famoso è sicuramente Facebook, ma prima di esso vi era l'oramai defunto MSN, riguarda i Social Network che servono, perlomeno in origine, a mettere in contatto tra di loro le persone. Come si può notare dall'impostazione del Social, infatti, esso si concentra maggiormente sul fornire la possibilità a due o più utenti di parlare tra di loro. E' chiaro che oramai quasi tutti i Social dispongono di una opzione per inviare messaggi, ma per quanto riguarda Facebook la mia opinione è che per annoverare una persona tra gli “amici” (se non lo facciamo per fare numero, perché boh, se hai 3000 amici di cui ne conosci solo l'1% evidentemente sei un figo) bisogna conoscerla o averci scambiato due parole. Facebook si concentra più sulle “persone” che non sui “contenuti”: capita raramente di aggiungere qualcuno perché ci piace quello che condivide.

Di impostazione diametralmente opposta è invece Twitter (così come Google+), che io riconduco a capostipite della mia personalissima seconda categoria: esso è infatti basato non sulla conoscenza fisica di una persona, bensì gli utenti interagiscono tra di loro mediante i contenuti condivisi e capita non di rado che due persone possano aggiungersi, parlarsi e scambiarsi opinioni senza mai scambiarsi il proprio vero nome. La popolarità di Twitter è cresciuta vertiginosamente per due cause specifiche:
A) Innanzitutto, su Twitter è possibile interagire direttamente con personaggi dello spettacolo, che siano essi calciatori, attori, cantanti, scrittori..., ricevendo a volte anche delle risposte dagli stessi. Ciò abbatte quasi completamente la barriera tra fan e idolo, ed è una cosa che probabilmente nemmeno i fondatori stessi del Social si aspettavano.
B) Come poc'anzi messo in evidenza, il fatto di poter raggruppare numerose persone per “nuclei tematici comuni” più che per conoscenza diretta ha permesso che si venissero a creare le cosiddette “tendenze”: esse sono una lista dei dieci hashtag (il simbolo “#” che sta spopolando ovunque e che permette di trovare determinati contenuti grazie al motore di ricerca interno di Twitter) più popolari del momento, in continuo aggiornamento. Cliccando sopra ad un contenuto ci apparirà una lista in tempo reale di persone che hanno usato quel determinato hashtag, consentendo così la formazione di piccoli e temporanei “fandom”, comunità di persone con, appunto, interessi comuni, che commentano tutte lo stesso evento in tempo reale, come se fossero in un enorme salotto virtuale, tutte davanti alla stessa Tv.

All'ultima categoria appartengono Social considerabili forse un po' più “di nicchia”, non tanto per la scarsità di contenuti quanto piuttosto poiché sono poco conosciuti se non da determinate fasce d'utenza. A questa categoria faccio appartenere soprattutto i Social votati più propriamente alla diffusione di immagini, siano esse foto personali (ed è questo il caso di Instagram) oppure fan – art, disegni, vignette e quant'altro (ed è questo invece il caso di Tumblr o Pinterest). Per l'appunto, tali Social servono soprattutto per la condivisione di contenuti visivi e sono poco adatti sia per lo scambio di contatti, sia per la pubblicazione di testi o video. Per certi versi, essi potrebbero addirittura non venir considerati Social Network, ma come recenti statistiche dimostrano, la popolarità di Instagram nello specifico sta raggiungendo i livelli di Facebook e Twitter, che per adesso la fanno ancora da padrone, e perciò merita di essere annoverato tra i Social a tutti gli effetti. E da ciò io mi chiedo, e mi si passi il termine, il motivo di cotanta poplarità sarà mica la smisurata quantità di figa che si esibisce in foto e pose degne delle migliori porno - attrici di Penthouse? Per Tumblr il discorso è ancora diverso, in quanto come accennavo poco fa l'utenza è diversa rispetto a quella classica degli utilizzatori dei Social: in questo caso ci sono perlopiù amanti di videogiochi, anime, manga, serieTv, film, disegnatori professionisti e amatoriali che pubblicano le loro creazioni anche su DeviantArt e via discorrendo. Si potrebbe dire che su Tumblr a postare siano i cosiddetti “esclusi”, quella particolare classe di cui mi fregio di far parte che quando era alle medie veniva presa in giro per i più vari e disparati motivi.

Tornando alla domanda iniziale, “perché parlare di Social Network?”, vorrei rispondere facendo io una domanda a voi: ma non staremo esagerando? Ma non nel senso che condividere foto dei pasti che si stanno per consumare corredandole di commenti da cerebrolesi possa essere considerato “esagerato”, no, secondo me andiamo addirittura oltre. I politici, ad esempio, usano Facebook e Twitter come nuovi veicoli per fare propaganda elettorale, come durante la Seconda Guerra Mondiale hanno utilizzato la Radio e poi nel ventennio Berlusconi è stata usata la televisione. Nuovi miti vengono forgiati dal nulla grazie alle potenza di internet: siamo riusciti ad avere Magalli che prende cinque voti alle elezioni per la Presidenza della Repubblica, capite? Ci rendiamo conto che Gianni Morandi ha più likes di Papa Francesco? - “Che cosa chiede a San Gennaro?” “Ma sono Giapponese” - e in poche ore diventa virale. Nessuno, e dico nessuno, può fare a meno di non conoscere quel video. Soltanto per fare un esempio.
E poi, riusciamo a renderci minimamente consapevoli che nessuno si conosce veramente, sui Social? Che essi sono forieri di iniquità e prese in giro? E questa è tutta colpa della nuova classe di persone che si è venuta creandosi proprio grazie alla diffusione dei Social, i cosiddetti “leoni da tastiera”, quelle belle persone che, tranquillizzate dalla presenza di un bello schermo che li protegge, si permettono di far soffrire quelli più deboli e più sensibili di loro. Si è diffuso il cyberbullismo, perché non bastava che i sedicenni omosessuali si suicidassero perché venivano presi per i fondelli a scuola, eh no, dovevamo fare ancora un passettino verso il “Disagio della Società” (Freud, quanto ci vedevi giusto).
Perfino l'Isis usa Twitter. Lo usa per rivendicare gli atti di terrorismo che compie, con esso cerca di fare proselitismo e ci informa della buona riuscita delle sue “imprese”. E tutto questo dovrebbe aiutarci a tenerci connessi, a farci sentire “Social”, ovvero parte di una società con degli interessi in comune? In tutto questo io, di “Social”, non ci vedo proprio un cazzo.
Nicola Bertilotti

venerdì 16 ottobre 2015

Number One: Gotham

Number One: Gotham

Anno inizio trasmissioni: 2014
Conclusa? No.
Episodi: 2 stagioni da 22 episodi, 42 minuti a episodio. 




Prefazione. La saga di Batman è stata riproposta in mille salse diverse: sotto forma di fumetti spin – off, cartoni animati e show televisivi dedicati ad un target più giovane, ottimi videogiochi per console current – gen, film e rivisitazioni di altro genere. In mezzo a questo mare in cui il Cavaliere Oscuro naviga da oramai più di un ottantennio, nel 2014 compare “Gotham”, una serie Tv dalle tinte forti e mature che si propone di “svecchiare” il modus operandi del brand andando a prendere in esame i personaggi che, tipicamente, vengono maggiormente tralasciati nell'universo dell'uomo pipistrello. Nei 42 minuti che hanno costituito il pilot della serie di carne al fuoco ve ne è molta: andiamola a scoprire insieme.  



Come è lecito aspettarsi da una serie sul difensore di Gotham, il primo evento rilevante al quale assistiamo, appena iniziata la puntata, è l'uccisione dei signore Wayne da parte di un misterioso killer. Bruce, il loro piccolo figlio, viene risparmiato dall'aggressore. Il ragazzo sarà, come è facile intuire, per sempre segnato da questo evento. Contemporaneamente all'omicidio, nella prigione di Gotham City ci viene presentato il nostro protagonista, ovvero James Gordon (interpretato da Benjami McKenzie), sistemare per le feste un mascalzone che stava per agitarsi. Gordon, a questo punto della sua vita, fa il secondo a Harvey Bullock, suo superiore. I due ricevono la notizia dell'uccisione di due persone e subito si dirigono sulla scena del crimine. Bullock vorrebbe abbandonare il caso perché, a suo dire, quell'omicidio attirerà troppo l'opinione dei media, che pretenderanno celeri risultati. Bullock suggerisce di lasciare il caso alla Grandi Crimini. Gordon, invece, prova subito una forte empatia per il piccolo Bruce, e promette al ragazzo di riuscire a consegnare il colpevole
alla giustizia in tempi brevi. Le uniche cose che scopre sono che il bambino si ricorda distintamente che il killer aveva le scarpe lucidissime e che ha portato via, oltre al portafogli di suo padre, la collana di perle della mamma. Di ritorno al commissariato ci viene presentato un uomo che lavora per la scientifica, soprannominato Enigma per il suo bizzarro modo di parlare. Costui ha scoperto un indizio che indirizza i nostri due agenti di polizia in un bordello nel quale Bullock sembra sentirsi a proprio agio. La proprietaria, Fish Mooney, un'avvenente donna di mezza età, accoglie subito Bullock ma guarda di cattivo occhio Gordon. Quest'ultimo, infatti, seppur non si renda conto di tutto il marcio che alberga in ogni anfratto di Gotham, è determinato a rendere la città un posto migliore. Mooney, che è probabilmente invischiata in molti affari sporchi, e Bullock, che poiché più esperto ha capito che per mantenere lo status quo bisogna sottostare a determinate regole non scritte, sono molto più realisti sotto questo punto di vista. Fuori dal bordello, nel frattempo, le guardie del corpo di Mooney la stanno facendo pagare ad un uomo, pestandolo con una mazza da baseball. Tra di esse ve n'è una, in particolare, che si rivelerà poi essere il tirapiedi più viscido di Mooney, che viene appellato dagli altri due uomini con il nome di “Pinguino”. Comunque sia, Bullock ha forse rintracciato l'uomo che possiede la collana di perle strappata alla signora Wayne durante il tentativo di borseggio finito tragicamente male. Quando i nostri due uomini si presentano al suo appartamento per fare all'uomo due domande, ad aprire la porta è una bambina che dice di chiamarsi Ivy. Subito scatta l'inseguimento tra Gordon e l'uomo, che proprio per il suo tentativo di fuga viene ritenuto colpevole. James rischia quasi di rimanere ucciso nella colluttazione con l'uomo, ma per fortuna a salvare capra e cavoli ci pensa Bullock, che spara al malvivente, uccidendolo. In questo frangente Gordon realizza improvvisamente di quanto sia dura Gotham City. Gordon, però, non è pienamente convinto di attribuire la colpevolezza all'uomo rimasto ucciso, e decide perciò di tornare a parlare con la moglie. Dopo aver avanzato la bizzarra richiesta di poter vedere le sue scarpe e non avendone trovato alcun paio in buone condizioni, James si ricorda di che cosa gli aveva detto James a proposito delle calzature del killer e capisce di aver preso un granchio. I suoi sospetti sono dunque
rivolti su Fish, che forse avrebbe potuto coprire Falcone, il leader della mafia di Gotham. Tornato al bordello, Gordon viene aggredito dagli uomini di Mooney e portato in una macelleria, laddove “Butcher”, una delle guardie del corpo della proprietaria del bordello, è pronto a farlo fuori. Mooney, nel frattempo, capisce che l'unico che potrebbe aver fatto una soffiata di qualche tipo alla polizia riguardo la collana è Pinguino. Incredibilmente, a salvare Gordon e Bullock interviene Falcone, il che rende bene l'idea di come tutta la città sia sotto il suo controllo. Nella successiva scena, infatti, Bullock da una spiacevole notizia a Gordon: nel bagagliaio è custodito Pinguino, ferito e terrorizzato dopo lo scontro con Mooney, e dovrà essere proprio Gordon ad ucciderlo, buttando il suo corpo nel fiume. In caso contrario, Bullock dovrà uccidere entrambi. James conduce Pinguino sull'argine del molo e gli intima di non farsi più vedere a Gotham, dopodiche spara un colpo a vuoto per dare l'illusione dell'omicidio a Bullock e getta nell'acqua Pinguino, il quale ovviamente sopravviverà alla vicenda e sarà determinato ad avere vendetta nei riguardi di Mooney. L'episodio si conclude con la visita di Gordon a villa Wayne, all'interno della quale il poliziotto porge il proprio distintivo a Bruce, rivelandogli la verità sul caso dei suoi genitori e rinnovandogli la propria promessa. Bruce decide di dare di nuovo fiducia a Gordon e lo invita a rimanere all'interno del commissariato, di modo da riuscire a curare Gotham dai suoi mali cominciando proprio dall'interno: è dunque questa l'improba missione della quale si fa carico James e che darà le mosse al resto della prima stagione.

Punti fondamentali

Storyline. Nel primo episodio si capisce che, perlomeno la prima stagione, sarà incentrata sulla ricerca del colpevole dell'omicidio dei coniugi Wayne. Già dalla prima puntata della serie, però, la carne al fuoco è davvero molta: a Gotham sono tutti fedelissimi di Falcone? Solo Gordon e il futuro Batman vogliono impegnarsi a cambiare le cose? Com'è che quella ragazzina innocente a cui è stato ucciso il padre diventerà la famigerata Poison Ivy? Come deciderà di vendicarsi Pinguino nei riguardi di Mooney? E qual è il vero obiettivo di quest'ultima?
I primi 42 minuti di Gotham sono densi di domande senza risposta, eventi e questioni irrisolte e, qualsiasi sarà la strada intrapresa dalla serie, sicuramente ci troveremo davanti ad un trama di alta qualità. Resta da vedere se i successivi episodi saranno auto – conclusivi o se, come sarebbe auspicabile, riusciranno ad amalgamarsi bene l'uno con l'altro.

Stile.
Contrariamente ad altre produzione da me prese in esame (qualcuno ha detto Once Upon a Time?) sembra che a Gotham i fondi non manchino: la città è ricostruita molto bene, sia per quanto riguarda gli esterni, sia di giorno che – soprattutto – di notte, sia per gli interni. Nello specifico, nel pilot della serie possiamo vedere la prigione di Gotham dove lavorano Bullock e Gordon, l'attico di quest'ultimo, la villa dei Wayne (che avremo sicuramente modo di visitare più approfonditamente nelle puntate successive, quando comparirà Batman) e il bordello di Mooney. Tutto questi luoghi, come ho già accennato in precedenza, sono caratterizzati davvero molto bene e soprattutto non stonano con il contesto generale che Gotham vuole proporre, il che è assolutamente un bene al fine dell'immedesimazione del telespettatore. Su questo fronte, quinti, nulla da eccepire.

Personaggi. Come è lecito aspettarsi da un primo episodio esso introduce solamente i personaggi principali e gli antagonisti che ci andremo a trovare di fronte via via che la serie si svilupperà, senza entrare troppo nel dettaglio. Possiamo comunque già comprendere che l'attenzione sarà posta soprattutto sul “lato oscuro” di Gotham, sulla criminalità che la popola, sui delicati rapporti mafiosi che intercorrono tra un intermediario e l'altro, sulla corruzione che dilaga anche all'interno degli organi preposti a far della giustizia un loro baluardo. Seppur l'espediente di mettere al centro di un progetto il lato meschino e nascosto di un determinato brand non sia un approccio originale, ciò può sicuramente funzionare, in quanto è abbastanza canonico che nelle varie trasposizioni di Batman al centro di tutto vi sia proprio il suddetto super – eroe. Un nuovo punto di vista sia sulla storia sia sui personaggi, quindi, può dare nuova linfa e sicuramente piacere ai fan dell'uomo pipistrello, a patto che nelle puntate successive si approfondiscano motivazioni e caratteri di ognuno dei personaggi presentati.

Consigliato? Assolutamente sì.
Che voi già amiate l'universo di Batman o che ne siate stati completamente lontani per tutta la vostra vita, il consiglio di dare un'occhiata a Gotham è rivolto a tutti. Chiaramente chi già conosce le avventure di Bruce Wayne e le vicende che contraddistinguono la città di Gotham potrà cogliere molti più dettagli e godersi anche i più minuziosi particolari; tutti gli altri si ritroveranno tra le mani una seria d'azione con forti tinte noir recitata bene, sceneggiata meglio e con una solida storyline di fondo. Gettatevici a capofitto senza avere dubbi: non ve ne pentirete. 
Nicola Bertilotti


venerdì 9 ottobre 2015

Recensione: Shadow Warrior

Recensione: Shadow Warrior

Anno di pubblicazione: 2013
Piattaforme: Ps4, XboxOne, PC (Versione testata: Ps4)
Sviluppatore: Flying Wild Hog



Prefazione. Per sgombrare il campo da equivoci, Shadow Warrior è un reboot e non un remastered in alta definizione di quello che fu lo Shadow Warrior uscito nel 1996 sviluppato da 3D Realms. In un panorama nel quale spiccavano Doom e Duke Nukem (del quale Shadow Warrior condivideva lo stesso motore grafico), a far spiccare il titolo 3D Realms furono la possibilità di combattere all'arma bianca utilizzando con grande maestria una katana e sentendo imprecare il protagonista come un camionista turco. Sarà riuscita questa nuova incarnazione del brand a mantenere inalterati i pregi del suo prestigioso e omonimo antenato, oppure il titolo è destinato ad essere dimenticato nello Shadow Realm?


Wang's back. Il titolo appartiene alla categoria degli FPS, ma con una particolarità: la possibilità (a detta degli sviluppatori) di poter completare il gioco utilizzando solamente la nostra fidata katana. La trama ruota infatti attorno alla Nobitsura Kage, una potente lama che si dica sia l'unica cosa che possa ferire gli abitanti del Regno dell'Ombra. Lo Wang si imbatterà proprio in uno di essi, Hoji, durante le... “trattative” per la compravendita della Nobistura Kage per ordine del suo capo, Orochi Zilla. Le cose non si metteranno bene per Wang in quanto il venditore, Mr. Mizayaki, si rifiuterà di cedere la spada e anzi, tenterà di
uccidere Wang. A seguito di questi eventi avviene l'unione tra il nostro protagonista e Hoji,
Kill Bill, fatti da parte: è arrivato Lo Wang.
un demone bandito per un motivo a noi ignoto da Enra, il Signore del Regno dell'Ombra. Da queste premesse si dipana una trama che risulta tutto sommato interessante per due motivi: le battute e il finale. Per quanto riguarda le prime, esse sono immancabili e risultano essere un marchio di fabbrica delle serie sin dall'originale Shadow Warrior: molte di esse sono a sfondo sessuale, altre ancora sono giochi di parole (difficilmente apprezzabili se ci si affida solamente alla traduzione italiana), mentre in altri casi sarà semplicemente il “come” una certa cosa venga detta a strapparci un sorriso. Non mancheranno le celeberrime imprecazioni di Wang, che cambieranno in base alle circostanze (il nostro protagonista ne pronuncerà una per la gioia di aver bruciato a morte un demone maggiore e una differente quando sarà gravemente ferito, ad esempio). Evitando di fare anticipazioni riguardo al finale del gioco, vi basti sapere che è inaspettato ed efficace, soprattutto poiché tutti i tasselli della trama tornano al proprio posto rivelando, una buona sceneggiatura, e anche perché riesce a risaltare grazie allo stacco rispetto al tenere di tutto il titolo.


Gameplay. Che cosa dobbiamo aspettarci da un reboot di una serie che ha oramai vent'anni? Innovazione, e quindi un titolo più simile agli FPS odierni come meccaniche, oppure tradizionalità? Ebbene, la risposta sta esattamente nel mezzo, poiché Shadow Warrior è un mix ben riuscito di modernità e “old school”. Le armi a nostra a disposizione sono otto più la katana, e sei di esse appartengono alla categoria delle armi da fuoco. Questi
giocattolini non brillano certo per originalità (un revolver, un fucile d'assalto, un fucile a pompa...), ma ognuna è piacevole da utilizzare ed in egual modo efficace contro i nemici. Inoltre, ogni arma dispone di un fuoco secondario (acquistabile spendendo il denaro trovato nei vari livelli) che aggiunge nuove possibilità all'arsenale: ad esempio, il fuoco secondario
Sarà possibile eseguire diverse tecniche con la katana.
del lanciafiamme permette di lanciare bombe infuocate che incendieranno i nemici nel raggio dell'esplosione, o ancora ci verrà permesso di utilizzare due fucili d'assalto simultaneamente in modalità akimbo, che infliggeranno quindi una più consistente quantità di danni. L'esplorazione dei livelli è abbastanza lineare, seppur esse siano costellati di segreti più o meno nascosti ma sempre presenti in gran quantità. Il titolo si compone in un totale di 17 capitoli, tre dei quali completamente dedicati alle boss fight contro creature di dimensioni gigantesche e che andranno indebolite sparando in precise zone del corpo prima di essere realmente danneggiate. Esplorare ogni anfratto degli ambienti circostanti sarà molto importante, poiché potremo arrivare a recuperare più denaro che ci servirà appunto per potenziare le armi (ognuna dispone di tre diversi potenziamenti) o per acquistare proiettili nel caso ci trovassimo a secco, cosa che capiterà più spesso alle difficoltà più elevate. Ogni nemico, inoltre, ci garantirà un determinato quantitativo di punti Karma, assimilabili ai punti esperienza di un normale gioco di ruolo, che ci consentiranno, una volta riempita
Un assaggio delle possibilità di potenziamento del protagonista.
completamente una barra posta in basso a sinistra dell'HUD, di ottenere un punto abilità da spendere per potenziare le capacità passive del nostro protagonista: si va dalle abilità che ci consentono di infliggere danno maggiorato a demoni minori e maggiori, a quelle che aumenteranno la probabilità di ottenere munizioni o denaro dalle casse presenti nei livelli, a nuove tecniche per la katana (fondamentali per padroneggiare quest'arma al meglio), e così via. Ogni battaglia completata con successo, inoltre, ci garantirà una valutazione in “shuriken”, variabile da mezzo a cinque a seconda della nostra abilità in combattimento e del danno subito, che servirà ad assegnarci un bonus in termini di punti Karma aggiuntivi. Combattere sempre al meglio, quindi, sarà fondamentale per ottenere più punti abilità possibili. Un altro modo per potenziare il nostro protagonista è dato dai Cristalli del Ki, ovvero gemme di grandi dimensioni poste ben in evidenza durante un livello, e che ci forniranno punti spendibili nell'apposita sezioni “Poteri”: essi sono abilità attive che dovremo utilizzare tramite touchpad oppure con una doppia e rapida pressione della levetta analogica sinistra in una delle quattro direzioni, e comprendono ad esempio la possibilità di immobilizzare i nemici minori facendoli levitare in aria e rendendoli vulnerabili ai nostri colpi o ancora una speciale barriera che devia sia i proiettili sia gli attacchi in mischia. La
Uno scorcio di uno degli scenari del gioco.
vita di Lo Wang non si ricaricherà con il tempo ma, proprio come succedeva nel vecchio Shadow Warrior, avremo un contatore di energia e anche uno per l'armatura, cosa che renderà il recupero di risorse quali ad esempio i kit medici un aspetto fondamentale per la nostra sopravvivenza. Le difficoltà selezionabili sono quattro, più una modalità denominata “Eroica” che disattiva checkpoints e salvataggi automatici rendendo possibile solamente ricominciare il livello dall'inizio dopo essere stati uccisi. Sarà inoltre presente una modalità sopravvivenza, con orde di nemici che vorranno la nostra testa, ma nessuna modalità online o multiplayer. Per quanto riguarda i nemici, invece, ne affronteremo di vari tipi, ma nessuno di essi brillerà per un intelligenza artificiale incredibile, anche se alle difficoltà più elevate essi ci daranno molto filo da torcere in quanto saranno in numero elevato e saranno molto resistenti. Come avrete già potuto evincere da soli, quindi, Shadow Warrior si pone a metà tra innovazione e tradizione, assimilando quelli che sono gli elementi canonici dei vecchi sparatutto in 2.5D ma offrendo anche un'ampia possibilità di personalizzazione del personaggio tramite elementi da GDR.



Easter Eggs. La bellezza di alcune chicche presenti all'interno di Shadow Warrior mi ha costretto a dover stilare un paragrafo a parte per loro. Può capitare, nel mondo dei videogiochi, che in qualche titolo siano contenuti uno o due camei di qualche altro brand famoso oppure riferimenti più o meno chiari ad altre saghe. Invece in Shadow Warrior tutto ciò è elevato all'ennesima potenza. Ma iniziamo dal principio: i Biscotti della Fortuna. Poichè immagino che tutti voi conosciate che cosa essi siano non mi dilungherò nelle spiegazioni, ma andrò invece a descrivere che cosa accadrà quando ne troveremo uno all'interno del titolo: il biglietto contenuto all'interno ci apparirà ai nostri occhi, e riuscirà
quasi sempre a strapparci una risata. Vi dico solo che uno di essi recita: “è il momento di prendere la gente a calci nel sedere e masticare gomme... Ed ho finito le gomme.”
Solo due degli Easter Eggs contenuti nel gioco.
Vi dice niente? Ecco.
Poi ci sono gli Easter Eggs “grafici”, ovvero zone segrete ricostruite con il vecchio motore in 2,5D e che sembrano uscite direttamente o da Doom o da Duke Nukem 3D, o ancora punti nei quali vedremo sprite in 2D presi dal vecchio Shadow Warrior, e poi ci sono i poster di altri titoli (Serious Sam, Hotline Miami...), signorine succinte che ci aspettano dietro ad una cascata, robot di Borderlands che fanno la propria comparsata dietro ad un muro... Insomma, chi più ne ha più ne metta: ogni angolo di Shadow Warrior nasconde una piccola chicca che merita di essere scoperta.

Conclusioni.


Pregi:
- Gameplay solido e divertente.
- La quantità di Easter Eggs presenti, tutti molto divertenti.
- Le possibilità di personalizzazione del protagonista aggiungono un tocco in più al titolo.
- Una trama tutto sommato buona e con un ottimo finale.

Difetti:
- Poche modalità, niente multiplayer.
- Non aggiunge nulla che non si sia già visto in molti altri sparatutto.
- Progressione dei livelli molto lineare, eccezion fatta per i numerosi segreti in essi contenuti.

Spazio ai numeri.

Grafica: 8. Molto buona la varietà degli ambienti e l'impatto generale, sia per lo stile impiegato sia per la gran quantità di colori a schermo, ma non sfrutta appieno le potenzialità next – gen. Non si registrano comunque particolari difetti grafici quali pop – up o blur.
Gameplay: 8,5. Solido, divertente e piacevole da giocare: Shadow Warrior soffre sì la mancanza di originalità ma si lascia giocare per tutta la sua durata, senza mai annoiare.
Sonoro: 7. Nella media. Qualche OST più meritevole rispetto alle altre, ma per quanto riguarda aspetti quale il doppiaggio o i rumori delle armi siamo sugli standard del genere.
Divertimento: 8. Sparare con le armi presenti regala soddisfazione in qualsiasi caso, e mietere vittime demoniache per tutto il gioco è un ottimo passatempo. Se si cerca qualcosa di un po' più profondo rispetto a degli elementi da gdr, però, non è questo il luogo giusto in cui cercare.
Longevità: 7,5. La campagna in singolo si attesta sulle 10 – 12 ore, vi sono quattro difficoltà differenti e la modalità Eroica, unici incentivi a rigiocare il titolo. Terminata la campagna, rimane la volontà di provare un paio di volte la modalità Sopravvivenza, ma l'assenza di qualsivoglia multiplayer online incide sul voto finale.

Voto finale e conclusioni: 8. Shadow Warrior è un prodotto ben confezionato che accontenterà sia i fan dell'originale, che ne apprezzeranno i tanti riferimenti (e anche quelli ad altri storici FPS), sia i neofiti, che sperimenteranno uno sparatutto “Old School” intinto di elementi più moderni che conferiscono una patina molto personale al titolo. Di questi elementi dovrà essere fatto tesoro dai ragazzi di Flying Wild Hog nel seguito, già annunciato e in uscita nel 2016, ed andranno eliminati i difetti come una linearità dei capitoli troppo pronunciata e l'assenza del multiplayer online.

Nicola Bertilotti


venerdì 2 ottobre 2015

Let's Talk About... Divergent

Let's Talk About... Divergent

Anno di pubblicazione: 2011 (libro), 2014 (film)
Autore: Veronica Roth

Prefazione.
Hunger Games è un libro scritto da Suzanne Collins pubblicato nel 2008 (in Italia è stato stampato da Mondadori nel 2009), il quale ha avuto un ampio successo sia presso la critica sia tra i lettori. Protagonista della storia è una ragazzina sedicenne, Katniss Everdeen, che sarà coinvolta suo malgrado in una faccenda ben più grande di quanto lei stessa s'immagini. Se ve lo state chiedendo no, non ho sbagliato a dare il titolo all'articolo. Si tratterà sia del libro sia del successivo film sull'opera di Veronica Roth, ma la premessa su Hunger Games era necessaria per far comprendere a chi ancora non se ne fosse accorto un piccolo particolare: le somiglianze. Chiaramente, Divergent è stato scritto sull'onda del successo riscosso dai libri della Collins, ed è indubbio che Veronica Roth abbia tratto “ispirazione” da essi. Vi basti solo sapere, per adesso, che la protagonista dei suoi libri, Beatrice Prior, racconta i fatti in prima persona, ha sedici anni, e sarà coinvolta in affari di importanza fondamentale per la stabilità del suo mondo. Un bel biglietto da visita per quanto riguarda l'originalità, non c'è che dire.

P.s. Spoiler alert. Non leggete se non avete già letto il libro o visionato il film. Non che nell'articolo ci siano chissà quali spoiler, ma non voglio rovinarvi nulla.


Il libro (e, di conseguenza, anche il film) ci immergono fin da subito in una Chicago futuristica che definire distopica o utopica non è semplice, poiché ad ogni lettore spetta la scelta tra queste due possibilità. Capirete presto. Il mondo di Divergent, a seguito delle guerre causate dalla brama di potere e dalla ricchezza, si è deciso a darsi un ordinamento costituzionale che prevede la divisione della popolazione in cinque classi sociali, che differiscono tutte per usi, costumi e per il fatto di coltivare una particolare virtù. Esse vengono chiamate “Fazioni” e sono:
Gli Abneganti, i quali vivono per aiutare il prossimo e ripudiano tutto ciò che denota una minima considerazione di sé e della propria persona, tanto che gli esponenti di questa Fazione vengono scelti per formare gli organi principali di governo in quanto, per loro natura, privilegeranno sempre il benessere del resto della popolazione.

I simboli delle cinque Fazioni.
I Candidi, che coltivano l'onestà a tutti i costi e si occupano della formulazione delle leggi.
I Pacifici, che ripudiano in qualsiasi caso la guerra e l'uso della violenza e che si occupano inoltre dell'agricoltura e della coltura della terra.
Gli Eruditi, che venerano la Saggezza e bramano la sapienza ultima sul mondo e ad acquisire quante più conoscenze possibili: essi lavorano come scienziati o ricercatori.
Infine vi sono gli Intrepidi, ovvero una Fazione che alle altre appare senza regole ma che in realtà va a costituire il corpo militare di Chicago, adibito alla protezione dei cittadini contro i misteriosi "pericoli esterni".
Da questa divisione scaturiscono le diverse opinioni riguardo al fatto se la Chicago di Divergent sia un mondo utopico o distopico: che ognuno rifletta per conto proprio se è meglio un mondo diviso da continui conflitti o il tentativo di arginare questi ultimi esercitando un controllo su ogni individuo incanalandolo in una determinata classe di persone fin dalla nascita. Beatrice, per l'appunto, ha da sempre vissuto negli Abneganti assieme alla sua famiglia, ma di essi non ne è mai riuscita a cogliere la filosofia di vita fino in fondo. Lei ammira piuttosto gli Intrepidi, e in cuor suo sogna di poter un giorno vivere libera in mezzo a loro, saltando sopra a treni in corsa e poi giù sui tetti solo per il piacere di sentire il vento tra i capelli, ignorando la paura e sostituendola con l'incoscenza tipica dei giovani. Al compimento dei sedici anni d'età, ad ogni ragazzo spetta la scelta più importante della sua vita: essi dovranno affrontare un test che dirà indicativamente loro a quale Fazione dovranno unirsi durante la successiva Cerimonia, ma la scelta finale, da compiersi in totale autonomia, potrà sovvertire il risultato. Beatrice risulta essere una Divergente, ovvero una persona il quale test non fornisce risultati univoci, ed essa dovrà da questo momento in poi guardarsi dallo svelarlo a chicchessia, poichè tutti la metteranno in guardia sulla pericolosità della sua acquisita condizione. Durante la Cerimonia della scelta, la ragazza sarà molto combattuta tra la Fazione degli Abneganti, che per lei rappresenta una stabilità ed una vita assieme alla propria famiglia, e quella degli Intrepidi, che invece costituisce la speranza di un miglioramento e di una vita più emozionante. Beatrice sceglierà alla fine proprio

quest'ultima ed è qui, con l'entrata in scena di Quattro ed il conseguente innamoramento di Beatrice, che iniziano a sorgere i problemi di una storia d'amore che è stata scritta con il solo scopo di vendere qualche altra copia in più. Se infatti nel libro le parti narrate da Beatrice riguardanti le sue vicissitudini, al netto di una scrittura tutto sommato semplice ed ereditata dai libri della Collins, sono curate con dovizia di particolari e riescono a farci immergere davvero a fondo nella storia che ci viene raccontata, lo stesso non si può dire per quanto riguarda le parti amorose. Fin dal suo incontro con Quattro, infatti, la storia una piaga che sa di stereotipato e si conferma tale pagina dopo pagina. Soprattutto la Roth si dimentica che, per come ha (ottimamente) caratterizzato le sue Fazioni, Beatrice afferma più e più volte di non sapere neppure lontanamente che cosa sia l'amore, né tantomeno il sesso, ed è di conseguenza impossibile che certi discorsi come “oh mio dio, Quattro è così muscoloso tra la clavicola sinistra e la terza vertebra che guarda che je farei...” escano dalla bocca di una ragazzina sedicenne a cui non è mai stato neppure permesso di immaginarsi il corpo maschile nè tantomeno di avere idee passionali a riguardo di un ragazzo. Probabilmente la Roth avrà pensato che inserendo dei baci, delle carezze, degli sguardi, il tema del sesso e via discorrendo in una storia dove a farla da padrone sono l'originalità del mondo che lei stessa ha creato, intriso di intrighi politici, eserciti di automi mossi da un unica mente e l'ammaestramento delle masse ad opera delle Fazioni, argomenti che tanti spunti potrebbero fornire anche per quanto riguarda la situazione attuale, sarebbe stato possibile vendere qualche copia in più. E probabilmente così è accaduto. Ma in tal modo è stata rovinata una buona metà di libro. I miei complimenti. Senza che io mi dilunghi troppo in tecnicismi riguardanti la scrittura o la struttura generale del libro, che pur con qualche alto e basso porta a compimento il suo compitino raggiungendo un voto che va discretamente al di sopra della sufficienza (escluse, lo ripeto, le insulse parti dell'insulsa storia d'amore), vorrei invece soffermarmi per un momento sul film. Uscito nella sale cinematografiche nel 2014, esso ci catapulta troppo velocemente nel futuristico mondo di Divergent, lasciando spiazzato colui che guarda il film senza aver letto il libro e non riuscendo ad inquadrare per bene il contesto in cui esso è ambientato, riducendo le informazioni ad un piccolo monologo di Beatrice relegato nei primi due minuti di inizio film. Inoltre, esso differisce in molti
Beatrice chiaramente interessata al significato dei tatuaggi di Quattro.
dettagli dalla sua controparte cartacea, e sappiamo che questo indispone sempre i fan del libro. Ma la cosa che mi ha personalmente lasciato più perplesso è stata la scelta degli attori protagonisti. Anzi, per la precisione, dell'attrice. Non tanto perché Shailene Woodley (Beatrice, per l'appunto) non sappia recitare, bensì perché la ragazza è chiaramente descritta nel libro come poco più che bambina, priva di seno e all'apparenza indifesa, come un cucciolo in pericolo.: la Woodley non rispecchia neppure una di queste caratteristiche: è alta, slanciata, atletica, ha un seno non di proporzioni esagerate ma prospero, e non sembra per nulla una ragazza indifesa se non fosse per i grandi occhi chiari. La scelta mi ha quindi lasciato totalmente spiazzato, e ciò ha minato ancora di più la visione di un film tratto da un libro che già non reputo un granché. Vi lascio immaginare quale possa essere il mio giudizio su di esso. Vi pongo infine una riflessione: Divergent è uscito sulla scia del successo di Hunger Games, un po' come tutta quella montagna di libri che troverete nel reparto “erotici” (appositamente allestito per l'occasione) di una libreria sono stati pubblicati dopo l'uscita cinematografica di 50 Sfumature di Grigio. Vi domando quindi: vi pare sensato il proliferare di “cloni” di opere ben più famose e il conseguente successo di essi? Secondo me, invece, andrebbero foraggiate altre idee, piuttosto che la ripetizioni delle stesse. Ma si sa: l'industria, che si tratti di libri, film o musica, è carogna. E noi che compriamo certi libri, o andiamo a vedere certi film, o che andiamo ai concerti di certi artisti, lo siamo anche di più.


Nicola Bertilotti